Manuale di Mari, Storie d'amore

Blackout

“Perché io mi conosco e so che tornerò e vorrò vederti ancora…”
Così diceva ed era per lui come una promessa, una rendita d’amore sicura per l’incerto futuro.

“Perché io mi conosco e so che tornerò e vorrò vederti ancora…”
Così diceva ed era per lui come una promessa, una rendita d’amore sicura per l’incerto futuro.
Così l’aspettava ed era sempre tornata. Prima o poi. Un giorno dopo tanti mesi, a volte anni. Giungeva quella telefonata. Poche parole per chiedere: “Come stai?” e un pretesto, una scusa banale, una improbabile ricorrenza, una richiesta di aiuto, un motivo qualsiasi che potesse appena celare la sfrenata voglia di rivedersi e fare l’amore. Sognare e fare l’amore. E quando succedeva, erano notti infinite, di quelle in cui nevicano stelle d’estate e la luna sembra la vela di una nave lontana nell’immenso mare dell’universo.
Così lui immaginava una telefonata, ripensava a cosa dire, viveva come in apnea fino al momento di quel ritorno.
Con questi pensieri contava i giorni segnandoli sulle pareti del cuore.

Come altre volte, erano trascorsi molti giorni, mesi, forse anni dall’ultima volta. L’angoscia ti fa perdere il conto. E non vuoi pensare a quanto tempo è passato, come se potessi in questo modo accorciarlo.
“Cosa fai quando non siamo insieme?”. Era la domanda rituale che lei gli rivolgeva.
“Il palombaro.” Rispondeva lui. Una immersione nell’abisso più profondo della solitudine. Ma questa volta l’attesa era stata veramente lunga. Troppo lunga. Doveva riemergere prima possibile. Così cedette all’ansia quando a una prima telefonata scoprì che quel numero, che conservava dal primo giorno nella sua rubrica, non esisteva più.
Forse lo aveva semplicemente cambiato, forse era solo un disservizio o qualche altra diavoleria tecnica che crea questi blackout.
Blackout. Senza luce, senza energia, senza sapere quando e se sarebbe tornata.
Cominciò a fare cose che non aveva mai immaginato di poter fare. Cercarla come si fa per una persona smarrita avendo cura però di non invadere la vita di lei di cui ormai non sapeva nulla. Né si era mai permesso di chiedere alcunché. Quell’altra vita di lei non era sua, era come un’altra dimensione in cui lei poteva amare un altro uomo. Poteva essersi sposata. Poteva avere figli. Una seconda vita.

Una vita non ci basta mai, così cerchiamo infinite altre vite, percorriamo altre vie e, alla fine, non giungiamo mai alla meta. Nel crocicchio dell’esistenza occorre scegliere e andare fino in fondo. Sembra che non siamo più capaci di farlo.

In modo incomprensibile. Con l’infinita amarezza e la stessa gelida mano con cui il suicida infierisce su se stesso, non la cercò più.

Allora lei, in qualche modo, tornò. Come per reclamare il suo diritto su di lui. Per testimoniare il suo vero amore. Lei tornò.

Era notte fonda e lui era sul ponte di una grande nave. Sullo sfondo il mare su cui la luna distendeva riflessi d’argento. E una canzone risuonava in una grande sala, dove poteva scorgere alcune coppie impegnate a danzare sulle note di quella dolce musica. Lei apparve all’improvviso, da una scala laterale. Indossava un vestito lungo, bianco, molto elegante. E i capelli scuri erano la corona della notte sul suo viso di luna.

In modo molto naturale, senza rendersi nemmeno conto perché lui era lì, su quella nave, e perché lei stessa era lì con lui… Proferì un invito: “Balliamo?”
Lei rispose aprendosi in un bel sorriso: “No, dai facciamo una passeggiata qui sul ponte”. Le prese la mano e s’incamminò con lei lungo uno dei parapetti della misteriosa nave.

La luna era una falce perfetta, enorme, ben visibile.

“Vieni con me” disse lei lanciandosi come in un salto. Ma non era un salto, era un vero e proprio volo. Vide la sua esile figura raggiungere come per magia la falce della luna posandosi su di lei. “Non è possibile…” Pensò lui. “Sto sognando!”
Dai, vieni! E’ facile, vieni qui con me…”
“Ma come?” balbettò lui.
“Un salto, fai un piccolo salto! Vedrai è semplice”
Così fece. E si levò in volo, sentendo persino il suono di questo suo librarsi nell’aria.
Adesso era accanto a lei, sulla falce di luna.
“Ma non è la luna questa!” pensò.
No, non era la luna, e cos’era? Non si sa. E non era la cosa più importante. Quello che veramente contava è che lei era lì, accanto a lui, tra le sue braccia, in attesa di un suo bacio.
“Quanti baci di nascosto, vero?” chiese lei.
“Sì, ma questo veramente non lo potrà vedere nessuno” rispose lui e si svegliò con lo squillo prolungato del suo cellulare.

Ci sono risvegli che somigliano alla morte. Anche se ci svegliamo con una dolce sensazione. Anche se siamo felici di aver fatto quel bel sogno subito dopo la vita reale ci sembra un vero incubo.

Blackout. Di nuovo senza luce, senza energia.

Solo qualche mese dopo, grazie alla confidenza di un amico comune, scoprì, in modo banale, come la vita spesso fa con le sue più grandi rivelazioni, che lei si era sposata. Aveva scelto la via da percorrere fino in fondo, cambiando numero di telefono e chissà quante altre cose ed abitudini.
Aveva avuto l’ardire di chiedere a quell’amico il nuovo numero di telefono scivendolo su un suo biglietto da visita ma la sera stessa, sul quel tratto di lungo mare dove tante volte si erano abbracciati, lo aveva lasciato cadere in mare, tagliando quell’ultimo filo per entrare in contatto con lei. Il rispetto per la sua scelta fu l’ultimo atto d’amore.

Una nuova vita segna sempre la fine di un’altra, pensò. Ma la vita senza sogno non può stare. Senza amore non si può vivere. Così lui aspetta sempre una telefonata. Anche se sa che non arriverà mai. E’ il suo modo di fare l’amore. Sognare e fare l’amore.

Ndr.: post pubblicato la prima volta in data 1 febbraio 2016




 

Concorso di Emoz. 2008, Concorso di Emozioni

Il soliloquio di Elena

Elena si fermò, distratta dalle grida di alcune ragazze che passavano sulla strada. Si voltò in quella direzione, fermando lo sguardo sull’immensa distesa di croci. Un brivido di commozione attraversò il suo volto: “Mio Dio quanti morti!” disse “Quanti drammi dietro queste povere vite stroncate negli anni più belli! Quanta distruzione e quante ferite nell’animo e nel corpo di chi è rimasto! Questo ci ha lasciato la guerra?” Elena non riuscì a trattenere il pianto, quindi asciugandosi le lacrime: “Ora devo farmi coraggio per te, mio caro. Sono qui con te e voglio riprendere il discorso interrotto quella sera. Ricordi quanto mi desideravi? Poi siamo finiti a parlare di amore platonico. Eri dolce e premuroso. Mi accarezzavi e mi guardavi negli occhi dicendomi che mi volevi bene, che avresti voluto restare sempre con me. Non mi volevi lasciare quella sera. Forse avevi intuito che era per l’ultima volta. Ma ora sono tornata e sono qui con te e tornerò altre volte e staremo insieme, mentre curerò i fiori del tuo giardino, le rose piantate dai tuoi amici. Fra poco arriverà la primavera e le rose fioriranno e spunteranno anche le margherite ed io potrò tornare a sfogliare i loro petali come un tempo. Ogni volta sorridevo quando mi dicevano che mi amavi, perché lo sapevo che mi amavi; ero certa del tuo amore. Anche gli uccellini verranno col loro canto. Vedi quel passerotto? Un giorno verrà anche da te e tu potrai affidargli un tuo messaggio. Tu mi credi, vero? La guerra ci ha consentito di trascorrere poco tempo insieme, ma sono stati momenti intensi. Ti ricordi quanto ti dispiaceva che finisse il giorno e quanto ci sentivamo gratificati, quando al tramonto il cielo si riempiva di rosa? Quel rosa ci faceva sperare e credere che le nostre speranze, potessero un giorno diventare realtà, che fosse possibile per noi, dopo avere subito l’offesa della violenza e delle stragi, trascorrere insieme una vita felice”.

Alberto Calavalle

Immagine: Evening Sun Poster di Mary Dipnall

***

Per commentare
clicca qui.