Donne timide, espansive, madri, mogli, single, donne belle, anzi bellissime con i loro dolori, le sofferenze e i lividi nell’anima che ci sono ma non si vedono e molto di più. Tutto questo è “Diario di donne”, ma anche intimità, riservatezza, segretezza, seduzione del cuore. L’autrice con grande capacità narrativa e di profonda introspezione scava nell’animo delle protagoniste tirandone fuori la parte più bella, la più segreta, la più autentica e vera anche se un’ombra l’attraversa e fa spezzare di dolore il cuore, come nel caso di Priscilla e del suo bambino mai nato. E poi ci sono le storie di Carlotta, Francesca, Olga, Serena, Lisa, Alessia, Nefeli, Margherita, Antonella, Giulia, Sabina. E per finire un tè con le amiche. Un libro che affronta temi attualissimi, tante storie possono fondersi in un’unica storia, la storia dell’essere donna. Priscilla Murli è scrittrice dall’anima profondamente schietta e sentimentale che riesce magnificamente nelle sue creazioni e nel suo narrare a presentare il bello e il grande senza sovrastrutture di natura culturale e sociale. Con la sua capacità analitica riesce a cogliere i ritmi, le esperienze di vita e i significati umani che trasfonde sapientemente in parole e racconti sublimi che attraggono dalla prima all’ultima pagina e coinvolgono per il pàthos che emanano. Un libro intenso e bellissimo tutto al femminile. Nicla Morletti
Anteprima del libro
Carlotta
Le luci bianche e fredde del soffitto scorrono veloci, tanto veloci da non darmi il tempo di fissarle; sono opprimenti, angoscianti, mi danno un senso di impotenza, di ineluttabilità. Muti e indifferenti testimoni del mio dolore, quasi mi giudicano e sembrano condannarmi; non riesco a vedere altro, stesa su questo lettino che di corsa mi conduce verso la fine di un qualcosa che era appena iniziato.
Sento sotto di me le ruote che non trovano ostacoli sui pavimenti chiari e asettici di questo piccolo ospedale di provincia; si impuntano, pigre, solo davanti al gradino dell’ascensore. Qui stesa mi sento fragile, indifesa, in una posizione svantaggiata: anche coperta da un plaid mi sento nuda.
Non so esattamente quello che mi aspetta, nessuno me lo ha spiegato, ma so come andrà a finire, l’ho deciso io. L’ho sempre saputo, penso che lo sapesse anche lui. Nonostante questo, ho sofferto tanto da sentire il rumore agghiacciante della mia anima che si frantumava.
Mi hanno parcheggiato, sempre con quell’aria di accusa negli occhi velati di pietà, per ore in uno stanzone asettico e lugubre prima di portarmi su; mi hanno fatto scegliere il letto, mi hanno rimproverato perché avevo aperto il camice per vederne la misura (non mi sarebbe entrato, ne ho chiesto un altro); mi hanno abbandonata in compagnia di altre quattro donne e di un ovulo torturatore.
Mi guardo intorno, vedo uno sguardo triste e gli altri assolutamente vuoti; quello triste appartiene a una donna che, pur giovane, dimostra molto più della sua età.
Ho bisogno di parlare, lei anche. Scopro così che è qui perché quel bambino proprio non può tenerlo; ha l’artrosi reumatoide, deve fare cicli continui di medicinali che causerebbero danni gravi ed irreversibili alla creatura che porta in grembo. E’ sposata, di figli ne ha già due ma non se la sente di rischiare la vita.
La capisco. Il mio problema è di ordine psicologico, oserei dire: ho sofferto di una grave forma di depressione, non voglio ricadere in quell’inferno, non sono sicura che riuscirei a uscirne una seconda volta. Lei non piange più, ha già pianto; io lo credevo, invece eccole le lacrime che scendono calde e copiose, mi rigano il volto, cadono sulla felpa, spariscono assorbite dalla nera disperazione che mi avvolge.
Devo. Questo verbo mi assilla, mi tormenta, si ripete all’infinito nella mia mente. Inforco gli occhiali da sole, spero di riuscire a nascondermi dietro le lenti scure ma ci credo poco. Cerco allora un altro sguardo, un’altra storia nella quale affogare la mia; incontro quello di una ragazza rumena giovane e sposata. Lei è qui, mi racconta con candore e sfrontatezza giovanili, perché è in Italia per lavorare, non per fare bambini. E’ un pugno nello stomaco, una falce di ironia che mi taglia in due, ma è questione di scelte, nessuno ha il diritto di giudicare.
Mi arrendo, mi tengo il mio racconto per me, è meglio lasciar perdere.
Ora mi devo dedicare all’ovulo, quello che ha il compito di rilassare le pareti dell’utero. Mi sento umiliata perché il camice è aperto dietro e perché devo armeggiare sotto le coperte per infilare un primo oggetto che viola la mia intimità.
Nel silenzio della stanza attendo il mio turno. Arriva.
Eccomi sul lettino con le ruote pigre. Sento le infermiere
che parlano del più e del meno ma non le ascolto; cerco con gli occhi mio marito ma non lo trovo. Una fitta mi trafigge cuore e stomaco, vorrei salutarlo, dirgli che lo amo, prendere da lui ancora un po’ di forza; ma per un’ironia agghiacciante della sorte si è allontanato proprio quell’esatto minuto.
Sono sola, terribilmente sola; non che io mi illuda, lo sono sempre in fin dei conti come lo siamo tutti, ma ora mi sembra di esserlo di più.
Del mio corpo sento solo le leggere fitte, simili a quelle che si hanno nei giorni del ciclo, che mi provoca quel maledetto oggettino bianco. La strada percorsa è breve ma a me sembra infinita, è quella che conduce al patibolo, all’esecuzione di mio figlio.
Finalmente mi fermano, mi parcheggiano in una stanzetta; dalla mia posizione vedo un orologio sulla parete, sono le undici meno cinque. Mi hanno infilato in testa una cuffia verde e trasparente e, anche se può sembrare assurdo, mi preoccupa il fatto di apparire brutta; è una sensazione che dura poco, un tentativo fallito di allontanarmi da questa situazione. Dopo un po’, circa un quarto d’ora, portano quella donna triste e un’altra che ho conosciuto in ospedale il giorno che sono andata a fare la richiesta per l’interruzione volontaria della mia gravidanza.
Un’altra donna, un’altra storia: lei ha già tre figli, è sola, ha il sospetto di avere un tumore al seno. Anche lei è triste, anche lei deve. Si chiama Giulia, l’altra Teresa.
Teresa ha fatto la notte, è terribilmente stanca e ogni tanto si addormenta per qualche minuto; l’hanno messa accanto a me ed io ho tutto il tempo per osservarla. Improvvisamente ha dei conati ma è digiuna e rigetta solo bile: non so come aiutarla, comincio a chiamare un’infermiera. Nessuno però mi sente, nessuno arriva: è costretta a dare di stomaco per terra, la testa girata leggermente di lato fuori dal lettino. E’ stremata e sento una gran pena per lei. Dopo un po’ ecco un’ infermiera, le dico che la signora accanto a me ha rigettato, mi risponde che sono effetti collaterali dell’ovulo. Se ne frega, le faccio presente che sta per mettere i piedi sul vomito; indietreggia inorridita, a lei il vomito fa schifo, mi dice.
Di nuovo quel senso di disperata solitudine, di disprezzo.
In questa stanza passa continuamente qualcuno ma nessuno mi guarda, sono una parte dell’arredo non un essere umano; non mi rivolge la parola nessuno, nessuno si perita di darmi la dignità che penso di meritare.
Guardo di nuovo l’orologio, è mezzogiorno: portano dentro Giulia prima di me anche se è arrivata dopo. La invidio quasi, lei non deve più aspettare. Passano i minuti con esasperante lentezza, ma quando finisce?
A un certo punto sento che la chiamano con insistenza: non sento la sua voce, non risponde. Non si sveglia. Dio santo, che succede? Vorrei alzarmi, andare da lei ma non posso. Chiedo all’infermiera del vomito che succede, lei mi risponde che tanto si risvegliano tutte. Vorrei urlarle in faccia che io non sono tutte, che siamo donne disperate, non siamo qui per usare l’aborto come metodo contraccettivo: che cosa ne sa di tutto quello che abbiamo dentro, dell’inferno in cui ci troviamo, della disperazione che ci soffoca.
Poi mi calmo, qui medici e infermieri non sono tutti come lei, qualcuno ha lasciato che parte della mia storia gli entrasse nel cuore.
Silenzio, non sento più chiamare il nome di Giulia, mi tranquillizzo. Comincio però a pensare a quando sarò io anestetizzata, a quando non sarò cosciente; mi terrorizza l’idea di non risvegliarmi più, di morire senza rendermene conto, senza aver detto “ti amo” a mio marito e “ciao” ai miei figli. Pensieri torvi che si spandono nella mia mente in una nebbia di tristezza, eli ineluttabilità.
Arriva l’anestesista e mi inietta una qualche sostanza che fa subito effetto: non riesco più a fissare il soffitto, tutto ondeggia, riesco a malapena a vedere che ore sono. Mi rendo conto che è un’ora che aspetto il mio turno, il momento dell’inizio della fine di una vita.
Poi mi spostano, mi portano nella sala operatoria; prima di entrare confusa ricomincio a piangere, vorrei dire no ma non posso. Chi mi vede volge lo sguardo altrove, non ha il coraggio di dividere con me il dolore ma almeno lo rispetta. Mi fanno stendere sul tavolo operatorio, gambe divaricate, anima nuda: mi iniettano un’altra sostanza ed io cado nel sonno della mia coscienza ormai messa fuori gioco.
***
Diario di donne
di Priscilla Murli
2013, 74 p., brossura
Archeoares
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Le donne chi le guarda, le scruta in maniera critica, chi le compatisce e chi le capisce. Interessante appare la scelta dell’autrice di parlare di donne diverse alla ricerca di emozioni e significati della vita diversi. Sicuramente un libro da leggere e che mi piacerebbe ricevere.
Questo libro sembra raccontare storie interessanti dal punto di vista umano, ma soprattutto femminile. Spero di poterlo leggere!
Dopo aver letto questo libro, il modo migliore per esprimere ciò che penso è proprio usare le parole della stessa autrice: ” Ho sempre creduto di aver tenuto un mio diario, ma mi sono accorta che, invece, ho raccolto le storie di altre donne, ho reso protagoniste loro al mio posto. Tutto sommato, poi, non è vero, perché scrivendo di loro, ho scritto anche di me stessa…nei momenti in cui lasciavo sulla pagina bianca le loro vite, io costruivo involontariamente la mia, diventando, in un istante, tutte le donne del mondo.” Ecco, questo riassume tutto il libro. Lo si legge in tempi molto brevi ed è molto scorrevole.
Un libro al passo con i tempi. Mi piacerebbe leggerlo perchè certa di riconoscermi in una delle protagoniste.
Storie di donne, storie di noi dall’amina in guerra con noi stesse e con il mondo, storie di vita vissuta e mai vissuta, storie di segreti, di dolore, di forza, di coraggio e di scelte che solo le donne possono capire…
Donne diverse e uniche accomunate da queste pagine.
Chi di noi donne non vorrebbe leggere questo libro, sono molto incuriosita, mi piacerebbe davvero leggerlo.
Libro arrivato oggi! Grazie mille!!!
Lo leggerò molto presto!
Interessantissimo e molto scorrevole da quello che ho potuto leggere. Il mondo delle donne è un mondo a parte, non sempre comprensibile ma ricco di sentimenti ed emozioni. Ed è proprio questo che voglio…emozionarmi leggendo un libro che parla di me in quanto donna!
Storie di donne, diverse tra loro ma così simili nell’essenza. Le donne hanno sempre una grande forza e questo libro sembra esserne un esempio.
Esser donna non è facile..eppure quant’è bello, quant’è sorprendente! immergersi nelle storie e scoprire che ciò che accomuna è l’esser donna…
Donna, donna quante situazioni devi affrontare nel percorso della vita? E’ da leggere!!!!