“L’amicizia è un virus contagioso” sostengono Gianni Baini e Luigi Falco. Poi proseguono: “Viaggia nell’etere e contamina tutti coloro che intenzionalmente o accidentalmente ne vengono a contatto. Quando si ha la fortuna di imbattersi in persone “speciali” è quasi impossibile ripiegare. L’incontro con il mondo della disabilità ci costringe a serie riflessioni. Ci obbliga a rivedere la nostra vita con occhi diversi. Ci segna profondamente nell’anima e ci conduce alla scoperta di identità e soggettività sconosciute: il mondo dei cosiddetti “invisibili”, un popolo sparso ovunque.” E proprio di questo tratta il libro: “Il volo dell’elefante” che mi è giunto in un mattino sereno di settembre con un cielo senza nubi. E’ arrivato con un pulmino rosso guidato da Luigi Falco, insegnante di sostegno, insieme a Gianni Baini, affetto da tetraparesi spastica fin dalla nascita. Gli brillano gli occhi, è entusiasta, mentre mi viene consegnato il pacchetto con i libri. C’è desiderio di vivere, di superare le barriere per sfidare se stessi, nel cuore di Gianni. E Luigi Falco accompagna amorevolmente le sue mosse, condivide le sue emozioni, guida con profonda umanità i pensieri e le parole di Gianni. Mi sento improvvisamente di buon umore, mentre il sole fa capolino tra le foglie della magnolia. Forse, chissà, è curioso anche lui di scoprire il magico mondo di Gianni e le testimonianze dei suoi amici. E sempre il sole, tra gli alberi del giardino, accompagnerà questa mia assidua lettura. E lo vedo, Gianni, a bordo della sua fiammeggiante carrozzina elettrica mentre si reca dal suo amico Luigi Falco, sempre con allegria, anche se talvolta capita una caduta e qualche piccolo inconveniente. Ma Gianni non si dispera, ride a crepapelle. E poi ci sono il parco dei divertimenti, il magico mondo delle corse e eventi straordinari. Molti sono i ricordi “in rosso” che Gianni preserva nel suo archivio personale di ferrarista. “Il volo dell’elefante” è un libro sensazionale che conduce oltre i limiti della diversità. Un messaggio di speranza che infonde forza, vitalità e determinazione, è insito nelle pagine e ne arricchisce il contenuto. Scritto a quattro mani, questo straordinario libro dal titolo insolito e dalla simpatica e gioiosa copertina, si fa leggere tutto d’un fiato per i contenuti e per la scorrevolezza della narrazione. Per lo stile moderno e snello. Per l’insolito argomento trattato. La felice intuizione e caratterizzazione psicologica del protagonista si colloca nel solco della migliore narrativa contemporanea. La vita stessa appare qui un meraviglioso viaggio alla scoperta della magia quotidiana fatta di voglia di esistere, di fare e di non arrendersi di fronte al muro dell’indifferenza per prepararsi alla grande sfida del futuro. Nicla Morletti
Anteprima del libro
IV. Nel blu dipinto di blu
Penso che un sogno così non ritorni mai più/
mi dipingevo le mani e la faccia di blu/
poi d’improvviso venivo dal vento rapito/
e incominciavo a volare nel cielo infinito.
(Domenico Modugno, Franco Migliacci, Nel blu dipinto di blu, 1958)
Volare
Nel Festival di Sanremo del 1958 venne presentata la canzone di Domenico Modugno e Franco Migliacci intitolata Nel blu dipinto di blu. Modugno, in abbinamento al giovanissimo Johnny Dorelli, risulterà il vincitore dell’ottavo festival della canzone italiana. Il brano ha riscosso un successo planetario senza precedenti, diventando (con il titolo più conosciuto di Volare) un emblema del nostro Paese a livello internazionale.
Quello del volo è un sogno antico quanto l’uomo, una sfida contro le leggi della natura. Gli aerei, i satelliti e le missioni spaziali dimostrano che le nostre conoscenze ci consentono di esplorare angoli di universo remoti. Siamo sempre più consapevoli che l’atmosfera oltre ad essere un involucro di gas che avvolge la Terra è un grande contenitore di elementi fondamentali per la vita. Il cielo, tuttavia, rappresenta anche la voglia di libertà, di fuga.
Il mito di Icaro che sorvola il mare aperto con ali fatte di piume e cera, precipitando nel vuoto per essersi avvicinato troppo al sole, è l’audace tentativo di superare i limiti e pregiudizi di una condizione insostenibile. Prigioniero del re Minosse insieme al padre Dedalo, Icaro tenta di riacquistare la libertà attraverso il cielo, ma la sua fuga diventa una condanna per aver osato tanto1.
Gianni, nonostante i suoi deficit fisici, ama la libertà ed è innamorato della vita. Questo connubio, arricchito dal desiderio di mettersi in gioco, lo ha condotto verso un’esperienza che solo pochi al mondo, nelle sue condizioni, hanno azzardato.
Il lancio con il paracadute
Nonostante siano trascorsi 17 anni, Gianni ricorda con orgoglio, nei minimi dettagli, l’avventura del lancio con il paracadute. Anche in questo caso tutto ha inizio da un’improvvisa passione che, assalendolo letteralmente, diventa motivo di sfida con se stesso e con gli altri. Il luogo, nel quale si è consumato l’avvenimento è Panicarola, una delle frazioni di Castiglion del Lago (PG).
In questo paese, che si trova a breve distanza dalle rive del Lago Trasimeno, è presente un aviosuperficie, dalla quale molti appassionati di volo hanno modo di librarsi nell’aria, ammirando incantevoli panorami.
– Cosa ti ha spinto a lanciarti con il paracadute? Chiedo a Gianni
– Devo al mio amico Marco Caposciutti l’idea del lancio.
– Come spesso accade nella tua vita sono gli amici la prima fonte ispiratrice.
– Sì è vero, perché è con gli amici che mi piace condividere passioni ed emozioni.
– Come hai conosciuto Marco?
– Marcone, così amo definirlo per la stazza fisica e per non confonderlo con altri conoscenti che portano lo stesso nome, l’ho incontrato a Montagnano (AR), in occasione di una mostra di Ferrari di formula uno. Mentre mi aggiravo tra le monoposto, alcuni amici me lo hanno presentato. Non è stato difficile capire che era una persona sensibile e attenta, con la quale sentirsi a proprio agio.
La mia prima uscita al cinema è stata in sua compagnia. Non ricordo il titolo del film, ma il genere era sicuramente quello d’azione con effetti speciali.
– Come sei arrivato a Panicarola?
– Marcone è un grande appassionato di volo e ama tutto ciò che volteggia in aria. Conosceva la tenuta di Panicarola e un fine settimana mi ha portato con sé a vedere l’aviosuperficie. Siamo ritornati più volte e ho perfino assistito a un suo lancio con il paracadute. Insieme abbiamo anche visitato la base aeronautica di Pisa.
– Non credo basti una visitina per suscitare…
– Tanto interesse? Perché no! Marcone vedendomi molto attratto dal volo mi ha proposto di provare in prima persona un lancio. Egli è sempre stato fortemente convinto che i limiti fisici possono essere facilmente superati con la grande forza della mente. Le esperienze non devono essere condizionate solo da apparenti difficoltà. Mi ha sempre incoraggiato a non sentirmi diverso solo perché in carrozzina. Da queste premesse è venuta fuori l’idea di provare il brivido della caduta libera.
– A quanto pare è bastato poco…
Non direi, perché, nonostante la grinta e il carattere che mi ritrovo non ero pienamente convinto. Ho molto apprezzato le belle parole di Marcone, ma ho maturato con gradualità il desiderio di mettermi in “volo”.
– Raccontami allora come è andata.
– Prima di cimentarmi in questa avventura ho assistito a diversi lanci e ho avuto la possibilità di fare il battesimo dell’aria, cioè il mio primo volo aereo. Con la scuola Skydive Trasimeno ho avuto l’opportunità di apprendere le nozioni fondamentali per il lancio. Superate le reticenze iniziali, una domenica di settembre del 1995, accompagnato dai miei genitori e da alcuni amici, mi sono recato a Panicarola pronto ad effettuare il fatidico lancio di prova.
– Hai avuto un bel coraggio…
– La domenica del lancio, dopo una breve lezione teorica e pratica, mi hanno fatto indossare una tuta munita di numerose imbracature. Sono salito sull’aereo Pilatus PC-6 con gli istruttori e con un passeggero ospite davvero speciale, il mio compagno di classe delle scuole medie Mario V.
– Come hai vissuto i momenti del decollo e del volo?
– L’aereo utilizzato per questo genere di lanci aveva il ventre praticamente vuoto. Non cerano seggiolini, ma delle semplici panche sulle quali sedevano i passeggeri. Io, in sostanza, ero disteso sul pianale appoggiato con il corpo verso il mio angelo custode, pardon istruttore.
Durante il primo volo di prova avevo scoperto, mio malgrado, di soffrire di mal d’aria, per cui gli istruttori, consapevoli del mio disagio, cercavano di tranquillizzarmi e di incoraggiarmi. Man mano che ci avvicinavamo all’altitudine programmata l’imbracatura del paracadute veniva ulteriormente assicurata e adattata al mio corpo. Nel giro di circa 15-20 minuti il Pilatus raggiunse la quota di 4200 metri, un limite dettato dalle caratteristiche fisiche del velivolo.
– A questo punto cosa è accaduto?
Alla quota prevista per il lancio si è aperto il portellone e ho provato la bellissima sensazione di essere sfiorato da un movimento d’aria paralizzante, prodotto da un phon gigantesco con una velocità del vento di circa 140 Km/h. Agganciato al mio istruttore ho cominciato l’interminabile discesa verso la terra ferma.
– Non hai avuto paura? Non sei stato assalito dall’angoscia?
– Il paracadute tandem è molto più grande di uno normale ed è costruito per sostenere due persone imbracate insieme. Dà la possibilità di uscire dall’aereo con volo stabilizzato da un piccolo paracadute (il drogue) che servirà poi all’apertura di quello principale. Man mano che perdevo quota mi sentivo sempre più libero, privo di limiti: un uccello fuori dalla gabbia. Il mio corpo precipitava rapidamente, ma l’aria mi accarezzava dolcemente, facendomi dimenticare la mia condizione fisica.
– La tua è stata una vera e propria impresa eroica. Addirittura il tuo lancio è stato filmato da Rai Tre Umbria ed è visibile in rete su You-tube all’indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=Q5NYy60JtbU
– So di essere tra i pochi a disabili, affetti da tetraparesi spastica, ad aver osato tanto. Non mi sento però un eroe, perché la sfida con i limiti (non solo fisici) fa parte della mia vita.
***
Il volo dell’elefante – Superare le barriere per sfidare se stessi
di Gianni Baini e Luigi Falco
(Armando Editore) 2012 pag. 95
Il tema della disabilità è forse fra tutti gli altri, il più caro per me. Vivo da quasi un anno un’esperienza di volontariato in un istituto per persone diversamente abili e da loro, ho imparato a vivere. Leggendo le prime pagine di questo libro, e l’introduzione, mi sono sentita come a casa! Ho ritrovato nelle parole del racconto, tutte le mie amiche, che ogni sabato, mi attendono all’istituto, con il loro sorriso, con la loro voglia di vivere, con la loro forza nel rialzarsi e con un’immensa voglia d’essere amate. Mi commuove sempre quando arrivo da loro e le trovo già lì, pronte per abbracciarmi. In un attimo i problemi che fino a quel momento mi alienavano la giornata, svaniscono e mi rendo conto di quanto sia fortunata per averle conosciute. La vera disabilità, non è quella fisica e neppure quella mentale. E’ quella del cuore, è l’incapacità di voler bene, di accettare che qualcun altro, diverso da te, possa arricchirti, renderti una persona migliore. Quando chiudiamo questo libro, quando lasciamo i protagonisti e la loro unicità all’interno delle pagine e ritorniamo “nel mondo reale”, dovremmo osservarci attorno con attenzione: non manca qualcosa? Il profumo del vivere, la capacità di assaporare la vita. Ed è per questo che io non li definisco disabili ma “diversamente speciali”. Grazie agli autori per avermi fatto rivivere emozioni immense e complimenti. Simona
Cara Simona hai colto in pieno il senso delle nostre riflessioni. La diversità per noi è fonte di ricchezza e amore. Del resto i limiti sensoriali, fisici e mentali sono solo barriere oltre le quali abbiamo paura di guardare. Hai proprio ragione quando affermi che “ci manca qualcosa” abituati come siamo a correre senza meta all’impazzata. Ci fa molto piacere che la tua esperienza di volontariato sia così bella e profonda. Per questo ti auguriamo di poter raccogliere tante soddisfazioni e mille emozioni
dall’incontro con l’altrui diversità. Grazie di tutto.
Di solito quando leggo le prime pagine di un libro mi viene subito un commento ,invece questa volta leggendo queste righe mi sento piccola veramente piccola ed impotente, penso alle volte della vita che mi sono sentita debole e mi rendo conto che malgrado tutto ho sbagliato.
Grazie per avermi aiutato a cercare di prendere più di petto le cose .
Complimenti.
Barbara
Cara Barbara la nostra debolezza non è sempre indice di fragilità. Molte volte incontriamo persone apparentemente forti, facciamo esperienze estreme e solo in un secondo momento di rendiamo conto che la vita è altro. Il riconoscimento dei propri errori è un segnale di grande maturità, ma bisogna guardare oltre “la collina” del nostro io. Per quanto alto e insormontabile un ostacolo c’è sempre un orizzonte che val la pena di scoprire.
Grazie per averci dato l’opportunità di riflettere insieme a te.
Abbiamo superato molte barriere,
soddisfatto mirabili imprese,
ma dove sta il maggior coraggio,
considerato anche un miraggio ?
Nello sfidar i nostri pregiudizi.
sorta di ancella degli umani vizi,
e volar come un elefante
in dirittura costante
verso il cielo della liberazione,
ch’e’ poi la vera condizione
per esser persone compiute
e non libellule dalle ali sbattute.
Baini e De Falco sommessamente
suggeriscono alla buona gente
che il limite dell’ osare
e’ nell’ impossibile sperare,
si che una grande sensibilita’
rinnovi il mondo nella verita’.
Gaetano
Caro Gaetano condividiamo con te l’idea che il maggior coraggio risiede proprio nello sfidar i pregiudizi. Abbiamo tutti bisogno di allargare i nostri orizzonti e noi ci auguriamo di rinnovare il mondo nella verità, attraverso una grande sensibilità.
Leggendo questo breve stralcio del libro, si percepisce subito quanto sia importante l’amicizia, soprattutto con quelle persone che non hanno tabù mentali e che riescono a trattare le persone “disabili” con molta naturalezza, senza fargli sentire il peso della loro difficoltà.. e mi è piaciuta molto la frase: “Egli è sempre stato fortemente convinto che i limiti fisici possono essere facilmente superati con la grande forza della mente.”
Ho sempre pensato che ognuno di noi arriva sulla terra con uno scopo ben preciso, anche se a volte noi stessi non siamo in grado di capirlo.. e che al mondo siamo tutti diversi.. (sai che monotonia, se fossimo tutti uguali con caratteri, modi di pensare, caratteristiche fisiche ecc.. uguali..)..e che Dio ha dato questo “difetto” ad alcune persone, privandoli di qualcosa, ma in cambio gli ha donato un cuore immenso e un’anima così sensibile, da invidiare.. è quello che si percepisce leggendo queste brevi righe di questo libro.. un racconto che suscita davvero tanta curiosità, perché fa capire che tutti possiamo nelle grandi imprese, basta solo volerlo.. del resto come dice la famosa legge d’attrazione, siamo noi con il nostro pensare che attiriamo le cose..
mi farebbe davvero molto piacere poter leggere tutto il libro.. complimenti agli autori..
Cara Maddy ti ringraziamo per il tuo commento così genuino e spontaneo. La nostra convinzione è che siamo tutti diversi ed è proprio questa diversità a renderci unici. Hai proprio ragione quando affermi che Dio ha donato un cuore immenso a tutti coloro che hanno dei particolari “difetti”.
Più volte ci siamo interrogati sui perchè e sui come di un disagio fisico e psicologico, ma come spesso accade non è stato facile trovare risposte convincenti. Quando però siamo pronti a metterci in gioco, oltrepassando le barriere, non solo fisiche, allora diventa tutto più chiaro. L’amicizia è quel virus contagioso che ti travolge e ti apre il cuore. Improvvisamente il mondo si colora d’amore, quello con la A maiuscola.