“Perché ho scritto questo libro? Perché ho buttato giù queste cose?” si domanda l’autrice. La risposta arriva subito: “E’ difficile dirlo – spiega – quello che so di certo è che queste pagine sono autobiografiche, sfacciatamente autobiografiche.”
Credo che non ci sia scrittura migliore, immediata e più vera del parlare di se stessi. Dello scavare nella memoria e nell’anima. Fa bene a chi scrive ed è altrettanto terapeutico per chi legge e potrà ritrovare un po’ di sé tra le pagine. Il discorso diviene così universale e comprensibile a tutti. Isabella Astorri con naturalezza, scioltezza e capacità narrativa e descrittiva, racconta di sé bambina, del suo rapporto con Napoli e suo padre. Ora con leggera ironia, ora più severa, parla della sua famiglia e di vicende umane più complesse. Il terzo capitolo è dedicato a quella parte di umanità sofferente incontrata in Africa in cui la protagonista “agisce all’interno di una missione della Croce Rossa.” E così ci troviamo di fronte ad Isabella bambina ed Isabella adulta, mentre la curiosità si fa largo nella mente del lettore per sapere di più e scoprire ancora nuove cose. Un bel libro dal ritmo incalzante e dai contenuti di pregio e valore sia culturale che umano, arricchito anche da alcune suggestive foto in bianco e nero che suscitano un moto di commozione. Trovo bellissima quella poesia i cui primi versi suonano più o meno così: “Sono contenta di essere con mio padre, / mio padre, / con i suoi pregi e i suoi difetti, / con la sua forza e le sue debolezze, / mio padre mi ha insegnato la sostanza delle cose…” Emerge forte la parola, emergono i sentimenti, una speciale forza nell’affrontare le vicende della vita ed il destino. “Le favole che mi raccontava mio padre da bambina, erano le più belle – scrive l’autrice – non c’erano streghe o principesse… C’erano dei briganti molto, ma molto cattivi…” Bellissimo il rapporto tra la protagonista e il padre, fanno sognare quelle loro passeggiate, i loro viaggi, i treni, i discorsi, le prime scoperte. Un libro da leggere per ritrovare anche sé stessi e per scoprire di più i veri valori della vita. Nicla Morletti
Anteprima del libro
Da: Io e Napoli … e altro ancora
Con lui ho capito tutta la bellezza
di Napoli, la gente, il suo destino
e non m’ha mai parlato della pizza
e non m’ha mai suonato il mandolino.
(Roberto Benigni, Saluto a Massimo Troisi)
Fin da piccolissima ho avuto uno strano rapporto con Napoli. Per via di mio padre. Per me mio padre era un punto di riferimento ineliminabile. Per questo ero portata, irrimediabilmente, a credergli sempre, o, per lo meno, a considerare credibili le cose che mi diceva.
Una di queste era la sua antipatia o, diciamo meglio, la sua non simpatia per Napoli, dove spesso andava per lavoro. Non simpatia, perché mio padre era una persona razionale, ordinata, precisa, puntuale fino al paradosso, tutte caratteristiche queste che non sono proprie dei napoletani.
Tanto per dare un’idea della quasi fissazione che mio padre aveva per la puntualità, basti ricordare le nostre partenze: tutto era pronto, stavamo per uscire di casa, mia madre, come al solito tornava indietro a controllare il gas, la luce, o se aveva staccato il ferro da stiro pur sapendo che l’ultima volta l’aveva utilizzato due giorni prima. Erano, mettiamo, le dieci e il treno partiva alle undici, ma mio padre guardava l’orologio e diceva in tono calmo ma freddissimo:
– È inutile affrettarsi, tanto il treno è già perso.
È da precisare che la nostra casa distava dalla stazione non più di cinquecento metri.
Io ho ereditato da mio padre questa fissazione per la puntualità, cosa che ha contribuito non poco a rendermi la vita intollerabile o, per lo meno, molto faticosa. Proprio così, perché io, nel corso della mia non breve esistenza, ho sempre incontrato persone che considerano la puntualità una deminutio, un ostacolo al libero estrinsecarsi della loro libertà. Per questo ho trascorso, e continuo a trascorrere, gran parte del tempo della mia vita ad aspettare, aspettare tantissimo, perché in genere, io arrivo molto prima dell’ora stabilita e poi devo aspettare il ritardo di chi devo incontrare.
Questo già sarebbe sufficiente a spiegare l’atteggiamento di mio padre e, di conseguenza il mio, nei confronti di Napoli.
Io ho dovuto fare un lungo percorso, per comprendere e poi anche apprezzare la Napoletanità.
Una certa simpatia per questa città, per quanto mi riguarda, cominciò a manifestarsi quando, ero piccolissima, ebbi in regalo ad una Befana “Il Teatrino delle marionette”. Sul grosso scatolone c’era il nome di un negozio e un indirizzo … via … NAPOLI. Una meraviglia del genere veniva da Napoli? Non ci potevo credere.
Questo Teatrino mi cambiò la vita e mi fece guardare a Napoli e ai napoletani con una certa affettuosa gratitudine.
Ora, a distanza di tanto tempo, mi rendo conto che questi buoni sentimenti erano fortemente interessati, anche perché tutta l’attività connessa al mio Teatrino era comunque collegata a Napoli. Sì, perché mio padre, infatti, ogni volta che vi andava, mi portava nuove marionette, che certamente non si trovavano a Campobasso.
Avevo il re, la regina, il ministro infedele, le guardie, i guerrieri, la principessa, la fata buona, la strega, il diavolo, l’infermiere, la bimba buona, la nonnina, il lupo … e anche il carabiniere, un po’ anacronistico rispetto alla fata e alla strega, ma comunque di grande fascino.
Ma perché mi cambiò la vita questo Teatrino delle marionette?
Io avevo una grande, fervida fantasia, cosa tra l’altro che preoccupava moltissimo mia madre che considerava la fantasia, soprattutto in una bambina un possibile e pericoloso strumento di evasione dalla realtà e quindi di peccato.
Mia madre era così ed io, dovete credermi, per continuare ad alimentare la mia fantasia, ho dovuto fare degli sforzi titanici.
Lei vedeva in quel mio Teatrino uno strumento di pericoloso esercizio fantastico, con tutte quelle storie che andavo inventando, la bambina che veniva inseguita nel bosco dal carabiniere, perché aveva rubato le fragole nell’orto del re, il lupo che non veniva ucciso dal cacciatore, come nell’orribile favola di Cappuccetto Rosso, ma diventava buonissimo e docile e, giurando di essere un pastore tedesco, pregava la nonna di Cappuccetto Rosso di mettergli il guinzaglio … e così via.
In tal modo tutto il mondo fabulistico di mia madre crollava miseramente.
Ho definito “orribile” la favola di Cappuccetto Rosso.
Ebbene, sì. A ripensarci, infatti, erano tremende alcune favole. La mia infanzia, o meglio l’infanzia di tutti quelli della mia generazione, è stata letteralmente minacciata nella sua serenità dalle favole che venivano propinate a poveri bimbi innocenti: basti pensare all’inaudita ferocia nella storia di Pollicino, all’orribile famelica strega di Hansel e Gretel, alla malvagità delle matrigne (ricordate quelle di Biancaneve e Cenerentola?) che hanno turbato i sonni di tutti quei bambini orfani di madre che vedevano in ogni donna che si avvicinasse ai loro papà una possibile incarnazione di insana ferocia.
E poi, tutti quei draghi ammazzati crudelmente, draghi che magari erano anche buoni, come la maggior parte degli animali.
Per non parlare di principesse che dormivano per centinaia di anni, in attesa del principe azzurro che veniva a destarle, per procedere insieme verso un futuro di eterna felicità, mentre poi, nella vita reale, non si incontrano certamente tutti questi principi azzurri …
I bambini di oggi, pare, siano, in gran parte, traumatizzati.
E noi allora? È stato un vero miracolo se siamo riusciti a superare tutti i tentativi non di essere traumatizzati, ma di essere annientati addirittura.
Ma torniamo all’argomento.
Dicevo come tutte le mie divagazioni fantastiche turbavano profondamente mia madre, ma trovai un metodo per tranquillizzarla, perché, da piccola, io ero molto furba, poi …
Ma questa è un’altra storia.
***
Io e… ma questa non è un’altra storia
di Isabella Astorri
2013, pag. 141
Edizioni Il Bene Comune
Semplicemente, lo voglio leggere… mi attrae troppo, già dalla copertina, io parto da li per decidere se sbirciare all’interno di un libro.
Bellissima storia, e si capisce che è autobiografica, perché raccontata con una tale naturalezza che vien voglia di continuare la lettura e scoprire la vita di chi scrive. Devo dire che mi sono rivista nell’autrice bambina, sia nel suo rapporto fantastico col padre, come il mio con mio padre, sia per la madre che odia vedere la figlia fantasticare e sognare.
Scrivere di se stessi e della propria vita, perché non è facile far leggere e raccontare a chiunque la propria vita, lo so per esperienza, perché anch’io scrivo e la maggior parte delle mie poesie e dei miei racconti hanno un carattere autobiografico.. e questo significa che qualcuno, il lettore, può entrarci dentro e a volte scoprire e far emergere una parte di se che si vuole tenere nascosto..
ma raccontare se stessi è anche una bella esperienza perché permette anche di far emergere un lato che si tiene nascosto per paura.. ma può aiutare una miriade di persone a immedesimarsi, così come ho fatto io leggendo questo breve estratto del romanzo.. perché anch’io sono molto legata a mio padre e anch’io ho questa repulsione per il mio paese.. che però nonostante tutto amo..
Scrivere di se stessi non è facile ma sicuramente completo. Mette l’autore alla ribalta del mondo e il lettore nella possibilità di conoscerlo pienamente. Un rischio: se non si crea empatia potrebbe essere difficile farsi apprezzare.
Isabella Astori si slancia in un romanzo autobiografico con tale impeto da trascinatre il lettore nelle sue avventure.
E Napoli diventa il pretesto per una rilettura della sua vita e dei suoi…tic.
Lo stile e’ piano e immeditamente godibile.
” Io….ma questa non e’ un ‘ altra storia “, dunque, merita piu’ di una sbirciata. Specialmente in questo periodo di ……auspicabile serenita’.
Gaetano
Letto perché affronta tematiche diverse ma simili alla mia vita. Quello che è la figura paterna x me è stata quella materna. Scritto in modo schietto e trasparente. Emozioni che diventano trasparenti e che emergono in superficie come un soffio di vento. La Napoli vista con occhi diversi e vivi. Un tutto espresso con semplicità ed auto consapevolezza