venerdì, 9 Giugno 2023
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La barca senza porto di Lara Kant

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LA RECENSIONE DI NICLA MORLETTI

La barca senza porto“La barca senza porto”. Un libro. Una storia vera. E’ Emma stessa, la protagonista a narrare all’autrice le sue vicende. E Lara Kant riporterà il tutto sulla pagina fedelmente, intensamente.
Crudezza, dolore, speranza e tanti altri sentimenti danno vita ad un fluire di emozioni che toccano e segnano il cuore.
Questo romanzo racconta di uno stupro, che ha avuto conseguenze drammatiche sulla psiche di una ragazzina di tredici anni, facendola cadere nel baratro dell’anoressia.
L’autrice con passione, dedizione e amore per le pagine scritte, nel rispetto dei sentimenti e delle debolezze umane, descrive fedelmente i
fatti, seguendo passo passo le vicende di Emma, la protagonista. Quasi una simbiosi, una fusione di anime, quella di Emma con la scrittrice.
Quest’ultima ne assorbirà la sofferenza, ma la vedrà poi
risalire la china e divenire una donna forte e coraggiosa. Un libro di
dolore, sì, ma anche di speranza. “Con la fiducia e la forza di
volontà si può cambiare il proprio destino. Ci si può salvare.” Questo il messaggio dell’autrice che incontrò in uno dei suoi viaggi Emma. Una ragazzina di tredici
anni che le mise in mano il suo cuore.
“Ancora oggi – scrive l’autrice – nei momenti di sfiducia e di stanchezza rivedo l’immagine di quella ragazza, dagli occhi incrinati di malinconia, che mi sorride e riconosco il volto ridente
della vita”.

LA BARCA SENZA PORTO
di Lara Kant
Giraldi Editore
2007 – pag. 101
Per ordinare il libro clicca qui
…Ad un tratto lo vidi arrivare con la sua grande auto; scesi di corsa
“buongiorno. ..”lo salutai aprendo lo sportello con impeto. “Ciao” mi
rispose guardandomi appena. “Come sta Samantha?” “Bene” tagliò
corto. Mi scrutava furtivo… le sue mani tremavano. Passò
davanti alla scuola ma non si fermò. “L’abbiamo già
passata!” lo avvertii pensando si fosse distratto. Lui non mi rispose;
continuò a guidare, come assorto. I tratti del suo viso si erano
irrigiditi. In quell’istante mi sentii inerme, prigioniera di uno
strano disagio e rimasi in silenzio… Ad un tratto bloccò
l’auto davanti ad una cascina abbandonata, in mezzo a scarni
fìlari. “Scendi!” mi ordinò afferrandomi per un braccio.
Erano giorni che pioveva e le mie scarpe affondavano nel terreno
bagnato. Provai una grande malinconia. La sua mano era viscida,
sudata… sentivo l’odore forte della sua pelle…

Prefazione

“La barca senza porto” è un romanzo che mi fu ispirato dalle
sorprendenti confidenze di una ragazza, Emma, che incontrai pochi anni
fa durante uno dei miei viaggi. Il romanzo racconta l’impressionante
storia di vita di questa ragazza che, all’età di 13 anni, fu
stuprata dal papà di una sua amica.
In seguito alla violenza, che in principio la bambina identifica come
penoso tentativo di omicidio, ella cade in un gravissimo stato di
anoressia senza ritorno.
Anni dopo, adolescente ormai in fin di vita, accade un fatto prodigioso
che convincerà la sua mente, inibita e passiva, a lottare
disperatamente per sottrarsi alla morte. La risalita verso la vita
sarà lunga ed estenuante ma, con un’enorme forza di
volontà, riuscirà a salvarsi. Questa terribile esperienza
le forgerà una personalità forte e coraggiosa
perché capirà che, con la fiducia e la forza di
volontà, si può cambiare il proprio destino.
Comprenderà appieno il valore dell’esistenza e la sua misteriosa
precarietà; ciò le consentirà di vivere la sua
vita con coraggio e consapevolezza proprio come una protagonista,
padrona della sua esistenza. Ma il destino, che non ama le sconfitte,
continuerà ostinatamente a perseguitarla…
Ho capito sin dal primo incontro che Emma, la protagonista del romanzo,
era una persona speciale; un turbine di sensibilità e di valori
che infondeva una straordinaria energia che, accanto a lei, era
impossibile non percepire. Questa ragazza, dagli occhi scuri e velati
di un’insolita tristezza, m’indicò inconsapevolmente la via
verso una nuova interpretazione della vita.
Mentre mi raccontava la sua storia, penetrai nei meandri più
reconditi del suo spirito e vidi, per la prima volta, la parte
più vera degli esseri umani: il loro mondo interiore, puro e
fanciullesco, che ognuno di noi dovrebbe trovare il coraggio di
ascoltare e donare agli altri, senza il timore di essere feriti e
riconosciuti per ciò che si è veramente.
Per motivi di identificazione ho alterato nella narrazione alcuni
episodi trascurabili mantenendomi, però, integralmente fedele
alla sostanza ed ai dialoghi per non compromettere la purezza originale
della storia.
Ho riportato per intero, senza falsi pudori ed inconsce remore, la
descrizione cruda e dettagliata della violenza carnale, sperando di
trasmettere le stesse vivide ed impressionanti emozioni che mi fecero
piangere durante la rivelazione della storia prima e la stesura del
romanzo poi.
Ancora oggi, spesso, nei momenti di sfiducia e di stanchezza rivedo
l’immagine di quella ragazza, dagli occhi incrinati di malinconia, che
mi sorride e riconosco il volto ridente della vita.

Dal Capitolo I

Io sono Helen, un’assistente di volo ormai da anni in pensione.
È una fredda sera d’inverno. Osservo il fuoco nel camino ardere
e consumare la legna. Sono malinconica, mi capita spesso di sentirmi
sola e di rimpiangere di non essermi fatta una famiglia. Mi alzo dalla
poltrona e mi dirigo verso una vecchia cassettiera da dove prelevo un
album di fotografie. Lì sono tutti i miei ricordi, i miei amici,
la mia vita. È impolverato. È da tempo che non lo
sfoglio; ho paura che il passato mi manchi. Esito un po’ e poi, con il
fiato sospeso, inizio a sfogliarlo: «Dio, come ero giovane e
bella ….». Una foto mi colpisce, è quella in cui Emma ed
io siamo abbracciate e sorridenti, in uniforme da hostess, davanti ad
un aereo. Tiro un lungo sospiro: «Emma, povera Emma, sapessi
quanto mi manchi!». In quella foto avevamo circa venticinque
anni; lei era diversa da tutte le persone che avevo conosciuto. Ora
fissavo il fuoco nel camino… Si, Emma era proprio come quelle fiamme:
calda, solare, scoppiettante. Era italiana. C’incontrammo, pochi mesi
prima di quella foto, quando entrambe lavoravamo come assistenti di
volo per una compagnia britannica. Diventammo subito amiche; di lei mi
colpì la sua maturità, la sua gran voglia di vivere.
Dimostrava più dei suoi venticinque anni. Non era bella; il suo
viso, scavato, portava i segni di una sofferenza che ancora non sapevo.
I suoi occhi erano scuri, intensi, vivi… Quando si rattristava
traspariva tutto il suo dolore. Durante i viaggi di lavoro per il mondo
dividevamo la stessa stanza. Che disordine! Quando preparava le valigie
buttava dentro tutto quello che le capitava tra le mani; senza un
criterio, un ordine e quando, poi, tirava fuori le sue cose le
sparpagliava ovunque; i suoi abiti erano sempre sciattati. Non l’avevo
mai vista usare un armadio. I primi tempi ero scandalizzata da quel
disordine, io che da buona inglese amavo la precisione e l’ordine. La
nostra stanza era sempre un caos, inciampavo sui suoi vestiti. Ma non
mi venne mai in mente di chiederle di essere ordinata. Forse,
inconsciamente, avevo capito che quel disordine era proprio della sua
vita. Ma in compenso mi sentivo sicura accanto a lei che aveva un
carattere forte ed espansivo, al contrario di me che ero timida ed
introversa. Di lei sapevo solo che viveva qui a Londra da alcuni anni.
Un giorno mi disse che si sarebbe presa tre giorni e sarebbe andata a
Venezia «Helen, vuoi venire anche tu ?» mi chiese. Accettai
senza riflettere. Non ero mai stata in Italia… Partimmo alcuni giorni
dopo con il treno. Il carnevale era appena finito. Ci sedemmo con le
nostre minuscole valigie in uno scompartimento vuoto. Emma guardava,
triste, fuori del finestrino. Come spesso le accadeva, era assorta nel
suo mondo; in un passato che solo lei conosceva e che ancora, forse, la
perseguitava con il suo bagaglio di sofferenze. Rimanemmo a lungo dal
silenzio mentre il treno proseguiva con il monotono traballare delle
sue carrozze: «Cos’hai Emma?» le chiesi tutto d’un fiato
per rompere quel silenzio che si era fatto pesante. «Oggi sono
triste» mi rispose, per niente dispiaciuta della mia domanda.
«In te c’è qualcosa che ti tormenta» azzardai io.
Sapevo che aveva molte cose da dire, ma era come se non sapesse da dove
iniziare.
«I tuoi genitori?» le suggerii timidamente. Sentivo in quel
momento che il mio compito era quello di ascoltarla. «I miei veri
genitori non li ho mai conosciuti; sono stata adottata quando avevo
dodici anni ma, forse, era troppo tardi…» esordì
finalmente lei con lo sguardo rivolto al finestrino verso un orizzonte
lontano. Poi si ammutolì, per alcuni lunghi minuti, come se
stesse rientrando nella sua infanzia. Continuava a guardare
l’orizzonte; la sua voce era mutata, aveva assunto una tonalità
infantile. Era come se parlasse a se stessa…. “Prima di essere
adottata, avevo da sempre vissuto in un orfanotrofio alle porte di
Roma. Era un antico convento isolato tra le verdi colline. A volte mi
sembrava di sentire delle presenze maligne. Quando mi trovavo da sola,
per quei lunghi ed immensi corridoi, avevo l’impressione che qualche
fantasma mi corresse dietro. Ero terrorizzata; mi mettevo a correre,
con il cuore in gola, fino ai giardini interni dove sentivo le voci
delle religiose e delle altre bambine. A volte, nella corsa, urtavo
qualche suora… «Emma! Ti abbiamo detto che non si deve correre
qui dentro!» tuonavano fredde.
Lì non abitavano né l’amore né la comprensione; le
giornate erano lunghissime e sempre uguali. Mi sentivo tanto sola; non
riuscivo a comunicare con le altre bambine che, invece, si erano
adeguate a quell’ambiente ed avevano assunto la freddezza delle loro
educatrici. Me ne stavo, silenziosamente, in disparte e le vedevo
giocare; loro mi deridevano e non mi si avvicinavano. Volevo morire…
Il momento più bello era la sera, quando tutti dormivano, e io
potevo piangere liberamente senza essere derisa e rimproverata.

Lara Kant
nasce a Firenze da padre Ufficiale dell’Esercito e da madre casalinga.
Quando Lara ha pochi anni la sua famiglia si trasferisce di nuovo a
Roma, loro città d’origine, dove tutt’ora risiede l’autrice.
Dopo il diploma di Liceo Classico, Lara si iscrive alla Facoltà
di Psicologia dell’ Università la “Sapienza” di Roma dove
è prossima a laurearsi. Indipendente, curiosa e ribelle presto
sente però il bisogno di allontanarsi dal suo Paese, corrotto e
con ideali sempre più insulsi, per intraprendere viaggi lontani
e spesso senza meta alla ricerca di un senso della vita. In uno di
questi viaggi, Lara troverà un’ anima persa come la sua da cui
trarrà l’ispirazione per questo romanzo. Sempre attenta alle
vicende umane, il suo obiettivo è continuare a raccogliere le
confidenze delle anime che incontra durante il suo cammino per dare
ancora una volta voce e considerazione alle sofferenze umane.
Prossimamente verrà pubblicato anche un romanzo autobiografico
dell’ autrice in cui la stessa affronterà, con il coraggio e
1’estrema sincerità che la contraddistingue, temi di vita
vissuta in cui ognuno si ritroverà nella sua essenza più
profonda.
www.larakant.com

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