domenica, 24 Settembre 2023
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La rivoltella nel cassetto di Alfredo Lucifero

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La rivoltella nel cassetto di Alfredo Lucifero

Alfredo Lucifero, poeta, scultore e narratore di consolidato talento, con questo nuovo romanzo giallo – rosa dal titolo: “La rivoltella nel cassetto” in cui si fondono mirabilmente fantasia, sogno e realtà, indaga sulle dinamiche umane e esamina la psiche dell’uomo nelle sue varie sfaccettature sia dal punto di vista etico, morale e psicologico. Regna sovrana tra le pagine la suspense, ingrediente essenziale per rendere un’opera accattivante che tenga legato il lettore al filo della storia e ai personaggi stessi. Ed in questo l’autore dimostra veramente tutta la sua capacità narrativa e talento nel dipingere la trama di verità e mistero, oscurità e sentenza, proprio come si fa con le tinte in un bel quadro. La realtà senza ombra di dubbio è quella del nostro tempo, una realtà difficile e complessa per l’uomo moderno. Le pagine scorrono veloci ed il lettore si domanda: “Come andrà a finire la storia?” Cresce l’attesa nelle atmosfere sapientemente create dall’autore: un’aristocratica villa di campagna fitta di alberi e di alture, due torri che le conferiscono un aspetto medioevale, una distesa di ulivi, il lungo viale da villa ottocentesca francese. Ottimo incipit per un giallo che si colloca tra i migliori della narrativa italiana e straniera. Vita, morte e l’inesorabile enigma del dubbio trascinano il lettore in un viaggio emozionante alla scoperta del labirinto della psiche umana e del mistero che l’avvolge. La famiglia Ferluci è una famiglia rispettabilissima. L’avvocato e la sua consorte vivono negli agi nella loro aristocratica villa in cui ben presto un insieme di eventi getteranno ombre, dando vita a sentimenti contrastanti, tradimenti, gelosie. Infine un’oscura morte sconvolgerà il tutto, in un gioco perverso nel rimescolarsi delle carte e del destino. Un ottimo giallo scritto egregiamente e con singolare maestria che tiene con il fiato sospeso fino all’ultima pagina. Browing baby calibro 6.35, la rivoltella nel cassetto. Nicla Morletti

Anteprima del libro

La famiglia Ferluci, si può ben dire, era la più stimata del paese. Una rispettabilità conquistata nel tempo e poi, via via, consolidata dagli esiti professionali dei diversi membri che si erano succeduti alla sua guida.
La villa di campagna, che era ormai la loro residenza abituale, spiccava, probabilmente in virtù di certi ben meditati contrasti architettonici giustapposti nel tempo dalle varie generazioni dei Ferluci, per il suo aspetto evidentemente aristocratico, ma che sempre si era armonizzato con il colore e con la vivace immagine della circostante distesa, fitta di alberi e di alture.
Due torri, per esempio, le conferivano una sorta di rigore medioevale, quasi una specie di rivendicazione della famiglia al rispetto di un inalienabile diritto a coltivare la propria vocazione all’isolamento. Queste due torri, bastava avvicinarvisi per rendersene conto, probabilmente erano state sottoposte a una serie di restauri, che tuttavia non avevano mai mortificato, ma anzi sottolineato, questa fisionomia appunto medioevale.
Era poi molto suggestiva la distesa di ulivi che si slanciava ai piedi della casa. Lì allora si affermavano i diversi colori e i molteplici riflessi della campagna: certe zone che sembravano argentate, altre invece verdeggianti, segmentate dall’ombra di quattro grandi pini domestici. Infine il lungo viale di accesso che ricordava gli ambiziosi percorsi delle ottocentesche ville francesi.
Per gli ospiti il primo impatto con l’interno della villa era sorprendente, in ogni caso piuttosto diverso dalla tradizionale disposizione degli ambienti che regolava le altre ville della zona. Infatti non ci si trovava in un vero e proprio ingresso, ma in un salotto di considerevole ampiezza. Un lato del salotto consisteva in una vetrata che, a sua volta, indicava la presenza di due rampe di scale che conducevano ai piani superiori. Il grande salotto aveva due porte a sinistra e altrettante a destra. Raccoglieva infine una rigogliosa luce da una porta finestra affacciata sul parco che abbiamo già brevemente descritto.
Senza mai rinunciare a un’apprezzabile cordialità nei confronti della cittadinanza, i Ferluci erano sempre riusciti a selezionare gli ospiti, ad aprire il rinomato salotto a una cerchia ristretta di amici per lo più appartenenti ad affermati esponenti delle professioni liberali e che, ben raramente, abitavano nella zona. Ma nonostante la gestione assolutamente aristocratica che per decenni aveva caratterizzato le relazioni dei Ferluci e, in un certo senso, il loro più ampio rapporto con la società, nessuno poteva offrire serie testimonianze di qualche loro gesto, comportamento o intervento rivolto a mortificare coloro che non avevano mai goduto il privilegio di accedere nel salotto. Insomma i Ferluci non avevano mai, uno dopo l’altro, cessato di ben amministrare quella cordialità tanto sincera quanto distaccata che ha sempre caratterizzato gran parte dell’aristocrazia italiana. Particolarmente, si potrebbe aggiungere, di quella formatasi nella società ancora legata all’agricoltura e che ha preceduto l’indu-strializzazione del Paese. Cordialità e distacco, cortesia e riserbo. Regole mai violate che avevano molto giovato a proteggere e a garantire rispettabilità al culto della mondanità: che era il tratto dominante nei comportamenti sociali dei Ferluci.
Nessuna presenza indiscreta, quindi, nei pressi e, ancor meno, nel lungo e sontuoso viale che accompagnava con il suo corteo di piante verso l’ingresso della villa.
Qualche osservatore solerte, ma forse meno benevolo e tollerante nei confronti dell’atteggiamento aristocratico dei Ferluci, avrebbe forse detto che nella loro condotta fosse possibile rintracciare qualcosa di molto rassomigliante a quello presente in certi comportamenti dei direttori di banca. Gentili, cortesi verso tutti i clienti, anche nei confronti dì quelli che nell’aspetto e nell’abbigliamento modesto trasmettono immediatamente l’impressione di una condizione precaria e sofferta. Ma che poi incontrano questa dimessa clientela in un’anticame-ra, senza cioè farla accedere nei loro uffici, dove si trattano i crediti rilevanti e dove, soprattutto, è situata la cassaforte. Così era sempre stato: l’interno di villa Ferluci, se non nascondeva una cassaforte, nascondeva una preziosa intimità gelosamente custodita e riservata a una ristretta corte di amici.
Soltanto negli ultimi tempi qualche smagliatura più o meno rilevante si era determinata nella fìtta rete di regole che avevano risparmiato quella specie di fortilizio da ogni indesiderata visita. Forse il segno di una mutazione che stava maturando e che si apprestava a investire il destino della famiglia dell’avvocato Ferluci. Una certa distrazione, della quale indubbiamente era responsabile in primo luogo la servitù, aveva provocato qualche piccolo ma pur sgradevole incidente che da parte di tutti era stato minimizzato. In una villa di campagna, che con le sue due torri medioevali sembrava addirittura essere dotata di un occulto ponte levatoio, le sentinelle non onoravano più la loro storica affidabilità. Uno sguardo all’interno della villa avrebbe anche rivelato che il primo ad abbassare la guardia era stato Paolo Ferluci. Perché dominato da un lampante nervosismo, da un’inquietudine che lo attanagliava, distraendolo da quel controllo della servitù e della disciplina che era stata una prerogativa del casato, del suo rinomato stile, della sua intangibile tranquillità.
Il primo serio incidente che trapelò, e che fu oggetto di riflessioni e di considerazioni a bassa voce di cittadini abitanti nei dintorni, e che ben conoscevano le robuste consuetudini dei Ferluci, si verificò nelle prime ore di un sereno mattino, quando le normali attività domestiche, tra colazioni e pulizie, erano già state avviate. Ma appunto, proprio perché ogni membro della servitù era entrato nell’esercizio di funzioni che assolveva da anni positivamente, come era stato possibile che un vagabondo estraneo all’ambiente riuscisse ad attraversare indisturbato il lungo viale fino a spingersi tanto avanti da raggiungere praticamente la porta finestra? Da questo inspiegabile e increscioso fatto, che nelle successive discussioni sarebbe stato giudicato come un’inaudita violazione, derivò una scena disgustosa, clamorosa, che non fu possibile cancellare, trattenendola cioè nei confini della villa.

***
La rivoltella nel cassetto
di Alfredo Lucifero
2012, 117 p., brossura
Robin

6 Commenti

  1. Leggendo per intero il libro confermo pienamente la mia prima impressione. E’ ben scritto, scorrevole e con una trama che ti appassiona. L’autore evidenza molto bene la personalità dei vari protagonisti e crea un’ atmosfera che richiama alla mente quella dei migliori gialli. Consiglio vivamente la sua lettura.

  2. Ringrazio l’autore per avermi inviato il suo libro.
    Sono felicissima di poterlo leggere. Appena terminato pubblicherò il mio commento.

  3. Sin dalle prime battute si delinea la qualità del racconto. E’ piacevole, scorrevole, ti coinvolge pienamente. Ho “divorato” l’anteprima senza neanche rendermi conto. Veramente un gran ben lavoro che mi farebbe piacere poter leggere.

  4. Amo i gialli: cercare di scoprire i colpi di scena mi ossessiona tanto che la frase “ancora una pagina e poi basta”…..non funziona mai! Se l’autore mi omaggiasse di una copia lo leggerò con immenso piacere.

  5. Alfredo Lucifero, brillante giallista. E con la classe dello scrittore di razza. In ” La rivoltella nel cassetto ” si dispiega una trama davvero interessante. Con la famiglia Ferluchi al centro. Come protagonista. Lo leggero’ con piacere (commentandolo, ovviamente) se l’ autore me ne omaggera’ una copia.

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