lunedì, 25 Settembre 2023
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L’iride della mia Cina di Enrico Magni

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L’iride della mia Cina di Enrico Magni

Il tema affrontato in questo romanzo è il viaggio. Originale e passionale il titolo: “L’iride della mia Cina”, come del resto lo sono tutte le pagine, ciascuna di essa icona di sorpresa, bellezza, chiarore, luce, passione per l’arte e per la cultura. A tutto ciò si aggiunge un taglio di occhi a mandorla, quasi a costituire un richiamo verso questa terra affascinante e lontana. Ottimo l’incipit con la vecchia Olivetti 32 che da anni se ne stava quieta sullo scaffale della libreria. Olivetti che poi era stata rubata in studio in ospedale, silenziosa, tranquilla macchina per scrivere da cui l’autore non si separava mai e la cui perdita ha costituito un dolore. Succede così per gli oggetti cari che hanno accompagnato le tappe della nostra vita.  A proposito di ciò scrive Enrico Magni: “La spostavo, ogni tanto la guardavo e la sfogliavo come si accarezza un vecchio oggetto o si guarda una vecchia fotografia.” E’ così descritta bene questa Olivetti, da renderla quasi da oggetto inanimato ad animato, come se essa stessa avesse un’anima. Bello. Persuasivo. Toccante. Prosegue l’autore: “Ho scritto questa storia nel 1987 dopo essere stato in Cina. La scrissi perché ci sarebbe stata una rimpatriata con alcuni componenti di quel viaggio. La cosa mi appassionò. Con la mia Olivetti 32, che avevo comprato a rate e dalla quale non mi separavo, ho cercato di mettere insieme delle frasi che dessero forma a dei fotogrammi di quel viaggio.”
Ne è uscito un libro bello come i colori dell’iride, quelli della Cina, armonioso come le atmosfere, i paesaggi e i sorrisi dei bambini di questo Pese. Regna l’attesa nelle prime pagine, si diffonde pian piano lo stupore e la meraviglia nelle altre, tutti sentimenti positivi che vengono trasmessi al lettore. A tutti voi la scoperta di queste mirabili pagine che vi trasporterà molto lontano, tra il verde, i fiumi, la pace delle campagne, oltre le grandi città come Hong Kong. Realtà e poesia si fondono per dare vita ad un’opera di indubbio valore. Nicla Morletti

Anteprima del libro

I.Volo

Era già mattino. La notte era passata. Dovevamo preparare le ultime cose da mettere nelle valigie. I vestiti erano pronti da una settimana. La stanza da letto era diventata un bazar da quindici giorni. Era la prima volta che ci si preparava ad affrontare una vacanza fuori dell’Europa. Il desiderio di trasvolare oltre il conosciuto, di aprire una nuova finestra aveva odorato l’aria di quella sottile ansia del viaggiatore che si prepara all’ignoto.
Ci stavamo preparando ad affrontare nuove situazioni.
La mattina era fresca. Con l’ora legale le luci del mattino si erano appena dipanate dalle ombre della notte. Il silenzio ed un soffice fruscio delle piante animavano la leggera frenesia di partire, di abbandonare quella casa per un po’ di tempo. Avevamo voglia di buttare via il burocratico quotidiano. La noia.
Lei aveva letto l’itinerario che avremmo dovuto percorrere, si era informata della storia e della geografia del paese. Io avevo deciso di non leggere nulla, di andare a guardare con occhio ciclope il mio nuovo mondo.
La Cina era entrata per caso in quella casa nel mese di maggio. Cercavamo un che, che ci portasse in un’altra dimensione. La Cina di Marco Polo, della Via della Seta, la Cina di Mao, la Cina della Grande Marcia, della Rivoluzione Culturale, ma forse era la sua Cina, la mia Cina che saremmo andati a vedere, a scrutare. L’archetipo Cina si era risvegliato dolcemente. Era la Cina dell’infanzia quella che immaginavo, dei gialli cinesi.
Da piccolo mi chiamavano cinesino perché avevo accentuato il taglio degli occhi a mandorla. La cosa non mi lasciava indifferente, m’incazzavo se mi scherzavano, gioivo se lo dicevano per vezzeggiarmi. I Cinesi già da allora li sentivo un po’ parte di me, in fondo per i miei amici lo ero.
Scoprii il desiderio inconscio di conoscere i miei “fratelli” con gli occhi a mandorla.
Lasciammo la casa e, a piedi, ci avviammo sull’angolo dell’incrocio nell’attesa di Vanda che ci avrebbe accompagnati all’aeroporto.
Passammo a prendere mia sorella. Mio padre si era alzato per salutarci. L’angoscia che qualsiasi incidente potesse accaderci timidamente lo turbava. Fece finta di niente. Ci guardò. L’auto partì ma il suo sguardo la seguiva. Non poteva fare nulla. Ci lasciava al destino. Era la prima volta che qualcuno della numerosa famiglia s’imbarcava in un’avventura così straordinaria e ordinaria nel medesimo tempo. La Cina era lontana e quell’uomo lo sapeva. Se ci fosse successo qualche inconveniente non si sarebbe perdonato di non essersi alzato a salutarci. Ero convinto che avrebbe letto attentamente tutte le mattine il quotidiano e ascoltato la televisione con occhio e udito attento.
Vanda aveva acceso il mangianastri. Mozart. La strada era deserta. Il selciato era bagnato. In auto si parlottava. Era un modo per prepararsi anche al primo contatto con la terza dimensione. Lo spazio, il cielo. Ero come un bambino che affrontava una situazione sconosciuta. In poco tempo giungemmo all’aerostazione.
Franco ci aspettava. Ci prese in consegna come bambini e ci fece conoscere chi ci avrebbe accompagnato per tutto il percorso. L’impatto fu piacevole. Eravamo disorientati. Non sapevamo con chi avremmo passato quelle giornate.
Solitamente, quando eravamo in giro da soli con la nostra tenda, i gruppi organizzati che vedevamo ci sembravano flosci. Qualche seta prima si discusse sull’ipotetica composizione del gruppo. Lei era più scettica, pensava che avremmo trovato delle persone petulanti. L’importante era di non lasciarsi condizionare eccessivamente dal gruppo. Io pensavo, fatto un calcolo immaginario probabilistico, che avremmo trovato persone tendenzialmente giovani, di buona cultura. Così fu. E la cosa andò bene. Questa nostra preoccupazione era presente in ogni persona. Non sarebbe stato facile passare insieme un certo periodo di tempo con altre persone mai viste. Era un rischio che bisognava correre. In fondo il mondo, si diceva, è composto di persone ognuna diversa dall’altra.
L’aero stazione con il suo soffitto basso dava un senso di compressione. Restringeva e rimpiccioliva le persone. Vanda fece la proposta di bere un caffè. Sarebbe stato l’ultimo caffè ristretto. Comprammo il giornale e cercammo un piccolo vocabolario italiano-inglese. Non lo trovammo. I nostri due amici ci salutarono. L’avventura incominciava. Non sapevamo cosa fare. I bagagli erano li accanto. Aspettavamo che qualcuno c’indicasse cosa fare. Le prime persone del gruppo che conoscemmo fu una coppia sui quarant’anni. Sembravano già svezzati e sicuri. Avevano voglia di stare soli e non con tre pesci fuori dell’acqua.
Il primo impatto fu il passaggio delle valigie. Mia sorella era preoccupata del peso. Ognuno si avviò alla pesatura. Passarono tutte. Il primo ostacolo era superato. Un cane poliziotto ancora addormentato, accompagnato dal finanziere, gironzolava tra i passeggeri.
Non ero ancora riuscito a identificare i miei compagni di cordata. Passammo il controllo dei passaporti. Avevamo superato la frontiera. Il volo si faceva più vicino. Fu proprio la sottile vergognosa paura del cielo che ci fece conoscere una coppia di ragazzi sui trent’anni. Rodolfo e Olga. Rodolfo si divincolava, si muoveva, si accarezzava la barba.
Erano gesti che cercavano di scaricare l’ansia, la paura. Erano di Recanati e la cosa ci appassionò. La città di Leopardi e la poesia de L’Infinito ci fece raccontare dello spazio e della paura del volo. Anche per loro era la prima volta.
Lui era un ingegnere, non doveva preoccuparsi della tecnica. Facemmo cerchio e incominciammo a conoscerci. Erano simpatici. Si discuteva se prendere delle pastiglie o non prenderle. Io sostenevo che bisognasse affrontare direttamente la paura e non le presi, così anche Rosi.
Nella zona franca c’erano dei negozi e per scaricare il tempo andammo a vedere per il vocabolario. Trovai invece l’ultimo lavoro d’Italo Calvino, mi avrebbe fatto di compagnia nel lungo volo.
Ricevemmo i biglietti per l’imbarco. L’ora era giunta. L’autobus ci portò alla scaletta dell’aeroplano. I bambini ridevano, non erano preoccupati. Si capiva al volo chi per la prima volta saliva su un aereo.
Gli svezzati salivano e si sedevano con sicurezza, i neofiti erano un po’ smorti o incuriositi. Ci separarono. Mi misero vicino al finestrino. Ero contento, almeno potevo guardare l’habitat, era piacevole. Di fianco si era seduta una donna matura, svezzata, e ciò mi tranquillizzava ma la sua ostentata sicurezza mi dava fastidio. Non sapevo cosa fare.
Rosi e Anna erano insieme al centro, così pure Rodolfo e Olga. Cercavo lo sguardo di Rosi per sentirmi appoggiato e per rincuorarla. Lei mi guardava come se cercasse di decifrare le mie preoccupazioni. Non potendo parlare esplicitamente cercavamo di comunicare con alcune parole spezzettate e con gli sguardi.
L’aereo si alzò pacatamente dal suolo, le vibrazioni erano minime, con gioia e stupore guardavo la terra che stava sotto ai miei occhi.
Avevo scoperto la terza dimensione e il piacere di volare. Non avevo paura. Come un bambino incuriosito scrutavo dal finestrino il paesaggio. Poi si passò sopra le nuvole, l’infinità del cielo e dello spazio mi si proposero come un universo immenso e nuovo. Era più grande lo spazio-cielo della terra. Erano le stesse sensazioni che provavo quando da bambino andavo in treno con i miei fratelli, ci si attaccava al finestrino a guardare le cose che scorrevano velocemente davanti agli occhi, si giocava a spingere il treno. Era la stessa magia. Era il piacere di volare come Icaro vicino al sole per vedere e fuggire per scoprire una nuova dimensione. Ero infantilmente contento. Ora capivo il piacere di volare.
Le nuvole, lasciata la Lombardia, diventavano più bianche. Pensai che l’inquinamento atmosferico era una cosa seria, l’atmosfera era troppo bella per distruggerla.
Giunti sulla catena delle Alpi il cielo era terso con delle piccole strisce. Sembrava il fondale di un acquario. I riverberi dell’acqua permettevano di vedere limpidamente il fondale. Dall’alto uno specchio trasparente dilatava l’immagine dei monti. Nelle valli si potevano vedere le auto, le strade di montagna. Mi pareva di seguire una mappa, potevo salire da quella parte o da quell’altra, in montagna la cima o l’orizzonte che sta dietro ad un coniale sembra il confine della realtà.

***
L’iride della mia Cina
di Enrico Magni
2013, 118 p., brossura
Gruppo Albatros Il Filo

10 Commenti

  1. Il viaggio è intrinseco in ognuno di noi, appartiene ai nostri sogni, alle nostre fantasie..I paesi lontani spesso per molti di noi restano un miraggio, ma poterne leggere da chi li ha visti e visitati, e ne ha registrato sentimenti ed impressioni, spesso è molto più che una rapida toccata e fuga con un viaggio organizzato.

  2. Il viaggio come metafora della vita. Il viaggio come strumento catartico per riappropriarsi della propria identità. Per il viaggio è questo: riscoprire se stessi grazie alla conoscenza di altre culture che diventano appunto lo strumento attraverso il quale ognuno di noi si riappropria di sé. Un libro che mi desta sicuramente interesse.

  3. Il viaggio è un tema intrigante. Dalle prime battute ci si accorge di che questo itinerario conduce nel profondo di un cammino interiore dove l’espediente del viaggiare rappresenta l’occasione per sentirsi nomadi dentro se stessi.

  4. Mi affascina il tema trattato, la Cina e il viaggio…vorrei quindi approfondirne la lettura di questo libro che già dall’inizio mi ha conquistato!

  5. Caspita dall’anteprima sembra davvero che il viaggio lo stia facendo pure io! A me piacciono molto i libri dove il lettore viene trasportato all’interno della storia!

  6. Mi sembra di rivedermi quando sono partita per il Messico…. un viaggio ti arricchisce, la stessa attesa è un mix di emozioni che non valgono tutto l’oro del mondo…Mi piacerebbe leggere il libro e poterlo recensire!

  7. Da questa anteprima si può quasi vedere dagli occhi del protagonista, il viaggio ma anche la sola idea del viaggio é un crescendo di emozioni ,gli occhi si riempiranno e la propria anima si arricchisce.

  8. C’e’ un’ attesa del viaggio ch’e’ piu’ trepidante del viaggio stesso. E, in un certo senso, ci prepara a gustarne le emozioni.
    Enrico Magni lo racconta all’ inizio del suo libro. Come icona propedeutica, certo, per la descrizione palpitante del Grande Dragone.
    L ‘iride qui e’ l’ occhio del turista che vuole cogliere ogni sfumatura per interiorizzarla ed arricchirsi con essa.
    Piacerebbe gustar l’ intera narrazione. Con la bonta’ dello scrittore.
    Gaetano

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