LA RECENSIONE DI NICLA MORLETTI
Un
romanzo originale, dal forte impatto emotivo che induce a pensare, a
riflettere, a capire cosa c’è in fondo al cuore dell’uomo per il tempo
di questa umana avventura.
Ma chi è Ottavia? "Non so se Ottavia e il
suo mondo esistano veramente – scrive l’autore -. Non mi importa di
accertarlo. Però Ottavia vive realmente, esistendo in quella frangia di
impossibile che quotidianamente si concretizza sotto i nostri occhi e
che ci lascia volutamente increduli proprio perché vogliamo convincerci
ad ogni costo di trovarci di fronte all’impossibile. Perché non
sappiamo amare. Neppure noi stessi."
E sorge improvviso il desiderio
di leggere ancora più attentamente le pagine di questo libro per
saperne di più della vita, dell’amore. Di Ottavia.
OTTAVIA Una vita disperata
di Manlio La Rovere
Il Filo – Collana Nuove voci
2007, pag. 98
Per ordinare il libro clicca qui
Io non so se Ottavia e il suo mondo esistano veramente o siano
veramente esistiti in un posto qualsiasi del nostro orbe terraqueo. Ma
non mi importa di accertarlo. Anche perché l’operazione risulterebbe
oltremodo difficile. Però, Ottavia vive.
Ottavia vive realmente,
esistendo in quella frangia di impossibile che quotidianamente si
concretizza sotto i nostri occhi e che ci lascia volutamente increduli
proprio perché vogliamo convincerci ad ogni costo di trovarci di fronte
all’impossibile. Perché non sappiamo amare. Neppure noi stessi.
Nessuno, infatti, ha abbracciato Ottavia. A nessuno è venuto in mente.
Proprio come a nessuno viene in mente di abbracciare una delle numerose
Ottavie che, in sembianze maschili oltre che femminili, attraversano
quotidianamente il campo sensoriale di noi tutti. Perché costa troppo.
E l’essere umano, prima d’ogn’altra cosa, è taccagno, egoista ed altro
ancora. Ottavia, quindi, avrebbe probabilmente fatto la stessa fine
anche se avesse potuto disporre di maggiori benefici materiali, perché
le sarebbe venuto a mancare l’unico bene veramente indispensabile.
Anzi, vitale. Vitale per lei come per ognuno di noi. Alludo all’amore
del prossimo o, più semplicemente, all’amore. Quell’amore che è
espressione di carità, misericordia, conforto.
Dal Capitolo I
Il grande
specchio dell’antiquato armadio ad una sola anta rifletteva una figura
male in arnese, nella quale Ottavia stentava a riconoscere se stessa.
La vaga luce crepuscolare che entrava dalla finestra stretta, disadorna
e cadente, contribuiva a rendere un’atmosfera di squallore e di povertà.
La
casa o, meglio, ciò che Ottavia si ostinava a chiamare casa con
inconsapevole eufemismo, era silenziosa, buia ed irreale come sempre a
quell’ora. Il quotidiano armistizio con la propria disperata esistenza
consentiva ad Ottavia di tirare il fiato, recuperando un minimo di
energie per il momento in cui sarebbe ricominciata l’impari lotta: di
lì a poco.
Però, non si arrendeva. Non poteva arrendersi! Doveva
bere il suo calice amaro fino in fondo, come il buon Gesù, del Quale,
intanto, non era degna di pronunciare neppure il Santo Nome.
Figuriamoci, poi, se poteva confrontarsi col Suo indicibile sacrificio!
Era proprio senza cervello!
«Gesù, perdonami se ho osato tanto»
disse con un filo di voce alla figura che veniva riflessa dallo
specchio. «Ma Tu lo sai: la mia testa non è mai stata tanto a posto!».
Si
segnò lentamente, come trasognata, e vide che Gesù l’aveva perdonata
dall’alone debolmente fosforescente che, in quel momento, le contornava
il corpo.
La prima volta che aveva notato quel debole chiarore si
era spaventata a morte, ma poi si era rassicurata, dicendosi che quello
doveva essere senza dubbio un segno tangibile della protezione della
Madonna, che lei implorava tanto. Non poteva essere diversamente
perché, ogni volta che aveva aguzzato la vista per cercare di capire
cosa le stesse succedendo, il fenomeno era svanito come per magia.
Perciò, non poteva trattarsi che di un segno benevolo, un segno,
quindi, della Madonna o di Gesù Benedetto. Un segno che le veniva
inviato solo quando lei si trovava in situazioni particolari, non
quando voleva lei. Però, non doveva permettersi di cercare di capire:
doveva ricevere il segno come se fosse una grazia. Infatti, se cercava
di capire cosa fosse, fissandolo per bene, quello spariva. Perciò, era
chiaro che non dovesse capire, ma solo ricevere.
Senonché, quando
aveva raccontato la cosa a don Giuseppe, aggiungendo anche le
conclusioni alle quali era pervenuta, don Giuseppe si era alquanto
arrabbiato con lei, raccomandandole piuttosto rudemente di non dire
stupidaggini e, soprattutto, di dimenticare alla svelta sia il
fenomeno, sia le arbitrarie conclusioni.
Beh, poteva capirlo: glielo
aveva raccontato durante la confessione! Quando ci si confessa, si
confessano i peccati, mica si può parlare di altre questioni! Nemmeno
nel caso in cui si tratti di questioni relative a miracoli. Eppoi, se
uno dovesse star lì a convalidare anche i più piccoli miracoli —
perché, in effetti, il suo era un piccolo miracolo, mica un miracolo
strabiliante come quelli che raccontava don Giuseppe — se uno, dunque,
avesse dovuto star lì a convalidare anche i più piccoli miracoli,
buonanotte!
Sì, era giusto, più che giusto, che don Giuseppe l’avesse un po’ maltrattata: se l’era proprio meritato!
Da
quella volta, comunque, non aveva avuto più né modo, né tempo, di
chiarire i suoi dubbi o di rinsaldare le sue certezze. Dopo quello che
era successo in casa, i suoi incontri col parroco non avevano potuto
più avere una impronta di normalità, né il crisma dell’ufficialità.
Mario, negli ultimi tempi, si era imbestialito più che mai ed avrebbe
sicuramente scatenato il quarantotto se avesse scoperto che lei
continuava ad allontanarsi da casa per andare a confessarsi e, peggio
ancora, a comunicarsi. Guai! La prima volta che se ne era accorto,
l’aveva riempita di botte, condendole di bestemmie una più orrenda
dell’altra!
Ecco, per quanto riguardava le botte, beh, poteva anche
sopportare. Anzi, doveva sopportarle, visto che, in qualche modo, ne
era lei la causa scatenante. Ma le bestemmie, no. Le bestemmie erano
peccati; peccati mortali! E, proprio allo scopo di non far commettere
al suo Mario tanti e così gravi peccati, preferiva peccare lei. Perciò,
s’era ridotta a sgattaiolare da don Giuseppe solo quando poteva farlo
in tutta sicurezza e, in ogni caso, sempre nottetempo, come un
malfattore, quando Mario, ubriaco fradicio, russava sonoramente, steso
di traverso sul loro misero letto. Se ne andava col cuore in gola e le
ali iti piedi perché capitava che, talvolta, Mario si svegliasse di
soprassalto. In quei casi, voleva trovarla negli immediati paraggi
per… per usarla come più e meglio gli garbasse sul momento.
Altrimenti, guai!
Però, anche se le sue azioni erano finalizzate al
bene di Mario, lei, per se stessa, commetteva pur sempre dei peccati.
Per esempio, non andava più alla Messa, neppure la domenica, sempre per
gli stessi motivi. E, quello, non era un peccato da poco! Per di più,
era impossibilitata a "fare la comunione", salvo in casi veramente
eccezionali. E, quello, anzi quelli, erano una serie di peccati
mortali. Altro che perdere la Messa!
Ecco, soprattutto a causa di
queste manchevolezze, lei aveva sofferto tanto, molto ma molto di più
che per i patimenti inflittile da Mario ed anche dalla vita. Poi, però,
un po’ per le parole di don Giuseppe, un po’ per il conforto venutole
dalla signora, un po’ per la convinzione che s’era data che, sì, lei
peccava ma a fin di bene e che pertanto il Cielo ne avrebbe tenuto
conto, si era pian piano rassegnata alla sua condizione. Non che ci si
fosse assuefatta: per carità! La sua era pur sempre una condizione da
bestie, non da cristiani. Ma, comunque…
C’era voluta, infatti, e
ci voleva, tanta e tanta cristiana rassegnazione per poter sopportare,
senza morirne, l’interminabile catena di disgrazie che le si erano
avventate addosso sin da piccina, simili ad una muta di cani sul
cinghiale ferito.
Già, fin da piccina…
Manlio La Rovere,
è nato a Chieti nel 1942. Ha seguito la famiglia in vari trasferimenti
di residenza fino ad approdare a Livorno. Ex ufficiale dell’Aeronautica
Militare, ha collaborato alla pubblicazione di un manuale di medicina
tradizionale cinese dal titolo Manuale di Agopuntura di Fu Bao Tian
(Giunti), mentre per la Joppolo Editore ha pubblicato il romanzo Santi
Maccarese – Una vita diversa. Ottavia è il suo secondo romanzo.