sabato, 23 Settembre 2023
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Racconti di caccia di Alfredo Lucifero

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Racconti di caccia di Alfredo Lucifero

Alfredo Lucifero, noto scultore, narratore  e poeta, ci offre la lettura di un originale libro di racconti di caccia. Si tratta di una narrazione che ha come protagonista l’artista stesso e i cinghiali de “La Disperata”, associazione di amici amanti della natura, che conducono una vita regolare ma tutti uniti dalla medesima passione per la caccia, come scrive Alfredo Lucifero stesso, disperati quando non vanno a caccia, disperati quando pur cacciando non trovano nessun cinghiale, disperati quando qualcuno sbaglia, disperati quando chiude la caccia. In questi particolari racconti, tra capanni, colombacci, daini, lupi, bracconieri e misteri, si scopre nuovamente l’arte del saper narrare e del riuscire a donare emozioni, tipica di Alfredo Lucifero che, da artista qual è, riesce a cogliere gli aspetti migliori delle cose e della vita, a tratteggiare e a  dipingere con le parole eventi, situazioni, personaggi, ambienti. La prosa è fluente, talora reale, talora drammatica, talora dolce e accattivante. Natura e arte si fondono, si amalgamano storie e personaggi in un caleidoscopio di emozioni, sensazioni e descrizioni che fanno vibrare le corde del cuore. Nicla Morletti

Anteprima del libro

Dalla Prefazione di Lia Bronzi
Alfredo Lucifero, homo viator, nel suo incessante itinere metamorfico e permutante, generatore creativo di varie forme di arte come scultura, poesia, narrativa (racconti, romanzi), comunque e sempre senza fumesterie autoreferenziali, ci propone questa volta Racconti di caccia, come evocazione della “causa primeva” la caccia appunto, che pratica come forma antropologica e sociologica, quale vincolo ancestrale alla quale l’uomo si è dedicato dapprima per sfamarsi, in seconda istanza come forma di primitività alla ricerca della vitale e tangibile presenza segnica dell’uomo nella biologia formale dell’Universo, con la voluttà di sottrarre a thànatos il tempo ritrovato, che è poi antichissimo presente, quale mito consolidato intorno e all’interno delle boschive colline della Toscana ed in nodi di civiltà provenienti, nel caso di Alfredo Lucifero, dalla sua nobile famiglia.
***

Una cacciata al cinghiale de “La Disperata”

La squadra era la stessa con varie tipologie personali, unico il nome: La Disperata. Unica la passione violenta, nascosta e cruenta per cacciare i cinghiali.
Animali strani questi, che combatterono contro l’uomo fin dal lontanissimo passato dove le armi erano di legno, pietra, di ferro: bastoni, frecce, alabarde, lance, coltelli, forconi; uguale la difesa e l’offesa del cinghiale, denti acuminati forza erculea, intelligenza, velocità imprevedibile di gazzella.
Si gioca e si scherza, si parte con le macchine, una volta con i cavalli o a piedi, ma la direzione dove fare la cacciata era incerta, la mattina presto era piovuto e i cinghiali era stato impossibile “tracciarli”: la guardia dell’azienda chiama la cacciata “intervento” con volto corrucciato quasi si trattasse di un’operazione chirurgica; si decide che i tre canai con i cani multiformi e multicolori sarebbero partiti dall’alto della collina ricoperta da un bosco di cerri e lecci alternativamente chiari e scuri, al suolo piccole macchie di pungitopi così graditi ai cinghiali.
Con le altre poste ciascuna ad una distanza giusta ci posizioniamo ai margini inferiori del bosco, alcuni più vicini, altri più lontani per tirare ai cinghiali che fossero stati padellati dalle poste o le avessero aggirate.
Subito si sente arrivare la canea il cuore batte forte. Il cinghiale potrebbe uscire davanti a me o all’amico piazzato vicino, Giuliano un gentile signore dai capelli bianchi e dal volto sorridente di fanciullo, ma arrivato sul bordo non esce e piega in alto dove c’è una recente tagliata e sembra allontanarsi.
Francesco, medico, figlio di un caro amico di sempre, con i capelli ricci e lo sguardo buono, cacciatore esperto fin dalla tenera età, dall’alto della sua posizione vede scorrere il cinghiale nella tagliata e commettendo un errore, gli tira un colpo con la sua carabina a 30,06, è molto lontano, lo sbaglia, e in più lo allontana dalle poste, infatti va avanti gira sopra di lui che spara ripetutamente ma se ne va portando dietro i cani più bravi Pippo e Selvaggio. Il primo un postvait jugoslavo, bianco e marrone, l’altro di razza incerta.
Ma non è finita, un cane abbaia a fermo dall’altro lato della vallata opposta al bosco dentro la cacciata; chiamo al telefono uno dei canai dicendo: “Attento vieni, nell’altra collina ci sono i cinghiali”. Mauro, simpatico, grosso e leggermente claudicante per un problema al menisco, sta venendo assieme all’altro canaio ma contemporaneamente da una macchiola in alto esce un gruppo compatto di 7 cinghiali che evidentemente erano già in piedi, si dirigono in basso, verso di me, faccio una corsa a perdifiato nonostante l’età non più fresca per mettermi sulla direzione, ma questi ad un certo punto girano si allontanano e spariscono nel lato nascosto della collina. Sento degli spari provenienti da là, spero che qualche cinghiale sia stato colpito.
Alcuni cani tornano indietro dai cinghiali fuggiti e uno di questi passando dal macchione sopra di me fa un abbaio significativo, pensai: ‘Uno dei cinghiali deve essersi fermato qui sopra.’ Chiamai l’altro canaio, Massimo, dalla voce possente e dal fisico da lottatore, che era accorso con altri cani, subito abbaiarono a fermo: ecco un cinghiale scorre dal macchione, lo vedo e penso: esce davanti a me da quella punta di bosco; così avviene, sparo: la cartuccia non esplode. Il cinghiale fugge verso il bosco precedentemente circondato, riesco a ricaricare il fucile e gli sparo dietro oltre cento metri mentre sta entrando nel bosco. Spara anche l’amico accanto alla mia posta, il cinghiale fa un guizzo, al colpo cade si rialza e scompare; dopo un minuto si sente sparare in alto è un vecchio cacciatore della squadra, Mario, che si era già ritirato verso la macchina. Il cinghiale ferito gli si era presentato davanti arrancando in salita e lui lo aveva fermato con un preciso colpo alla testa.
Al termine della cacciata io stavo raccontando ai compagni della ‘Disperata’ l’episodio che mi era capitato lamentandomi del fucile e del colpo mancato dicendo: “Ma che scarogna il cinghiale mi è uscito bello pulito a non più di 15 metri e la carabina si è inceppata!”. Mario che ascoltava piccolo e arguto toscano, contento di avere finito lui il cinghiale esclamò sorridendo: “Meno male!”.

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Racconti di caccia
di Alfredo Lucifero
2014, 80 p., rilegato
Ibiskos Ulivieri
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