La recensione di Nicla Morletti
Poesie per sognare, per ricordare, per risvegliare nel lettore sentimenti apparentemente sopiti nell’anima, ma ancora ben vivi e palpitanti, come pianori di luce d’estate e “aceri ancora verdi che raccolgono ogni tremito nei rami possenti”.
Una dolce rapsodia del tempo, questa di Baldo Lerri. Una tenera melodia di sublimi ricordi d’amore: “Era come stare felice negli occhi. Poco altro era intorno.” Ed ancora: “Se tu fossi più bella ancora s’aprirebbe una terrazza di tempo da dove compiangere il mondo.”
Durante la lettura di questi versi si affacciano alla mente del lettore orizzonti sconfinati e prendono vita visioni di lunghe strade nell’ora del tramonto. E poi ancora salici, fronde e neri capelli, mentre Dio dipinge la sera con i colori dell’amore.
SE TU FOSSI PIU’ BELLA ANCORA
di Lerri Baldo
Edizioni Tracce – Collana: Fondazione Pescarabruzzo. Giovani poeti
2006, p. 92
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Prefazione di Ubaldo Giacomucci
La scrittura poetica di Lerri Baldo si proietta lungo le diverse traiettorie psicologiche dell’introspezione per recuperare uno spazio simbolico ancor più esteso che nella lirica tradizionale. Da questo punto di vista la ricerca poetica non prevale sul testo, secondo un’impostazione moderna, libera da rigidi schemi formali e basata su un lessico quotidiano riutilizzato ai fini della dimensione simbolica.
La poetica dell’Autore punta anche sull’icasticità dell’espressione e sulla concettualizzazione del messaggio, per assumere pienamente la finalità esistenziale del testo, nell’esigenza di andare oltre gli idoli di un mondo dominato dalla dimensione materiale e consumistica e recuperare una dimensione di autenticità. In questo senso la fenomenologia delle emozioni definisce una poesia dal linguaggio vivo e palpitante, che si confronta con una forma comunicativa ma personale.
L’Autore elabora un testo poetico essenziale e cadenzato, che offre al lettore versi misurati ma ricchi di senso e di significati.
Una poesia, dunque, di particolare maturità espressiva, grazie soprattutto a una cifra stilistica originale, in cui prevale la densità metaforica del testo..
Dal libro
Della natura del cécino*
“Lo cecino si è uno uccello che è de grande corpo ed è quasi tutto bianco,
ed have cotal natura ch’elli canta volontieri,
e quando omo li sona uno stormento che si chiama arpa,
sì s’accorda con esso in cantare, sì como lo flauto co lo tamboro “
Similmente t’ho sentita cantare Anita.
Saresti un uccello dal corpo bianco.
La tua voce cade
come le foglie dei castagni
sopra il filo dell’acqua,
conosce come loro i silenzi
le lunghe pause di questa piana
oggi che un cigno la solca appena sul lago
ed è solo un rimando fra la luna
e il biancicare degli occhi.
Così mi riparla questo superbo animale di te,
quando la candida bestia traccia una linea fra i giunchi
e protende il collo a cercarti anche nella roccia
o nella pietra dura.
Tu manchi perfino alla consistenza dei sassi.
E non senti più
adesso che il tuo canto s’annotta
come ferisce l’essenza che scolora il tuo viso
e quella tenerezza che tu
solevi tramandare alle stelle.
*Dal Libro della natura degli animali – Compilazione anonima di fine Duecento.
Attirata dalla copertina con entusiasmo e trasporto ho letto l’anteprima che mi ha trasmesso un miscuglio di emozioni. Complimenti perché già ad una prima occhiata il volume sembra essere davvero ben curato.